Concorso Socc'mel che Canzone - Luca si buca ancora

Bene  oggi, dopo la premiazione, posso finalmente condividere il mio racconto, tratto dalla canzone di Luca Carboni - Silvia lo sai e qualche foto/video della serata.

 
Luca se ne stava appoggiato ad un albero con la testa inclinata di lato. La maglia del Bologna che indossava, gli stava grande di almeno due taglie. Nelle ultime settimane era dimagrito parecchi chili. L’appetito lo aveva quasi del tutto abbandonato, lasciando spazio ad una voglia irrefrenabile di evasione. E lì, sotto l’ombra di quell’albero secolare di uno dei giardini più belli della città, si stava godendo uno di quei momenti.
La siringa gli penzolava ancora dal braccio destro. Aveva imparato a bucarsi con entrambe le mani e per un attimo, per questo, si era sentito un dio. Luca, nel corso degli anni, aveva sofferto di un irrefrenabile ego, che l’aveva portato prima al successo, per poi farlo rotolare rovinosamente giù da quella stessa vetta. Fino a cinque anni prima gestiva un’agenzia di servizi. Grazie alle sue tante conoscenze e al suo atteggiamento spavaldo era in grado di accaparrarsi clienti di ogni tipo. Per lo più la sua attività era quella di organizzare eventi e lo faceva così “alla grande” che riusciva a passare da un party privato in discoteca alla festa di una prima comunione senza perdere di alcuna credibilità. Tutti in città sapevano chi era, ma nessuno lo conosceva davvero.
Solo Silvia ci riuscì. Lei amava la musica, i fiori gialli e la marmellata di more. Era una ragazza semplice, trapiantata a Bologna per studio, che poi aveva abbandonato per seguire la sua vera passione. Diventare una speaker radiofonica. Si guadagnava da vivere lavorando in una piccola radio locale che trasmetteva musica rock tre volte alla settimana. Per il resto del tempo Silvia camminava. Camminava per lo più senza meta, ma era chiaro dal suo portamento, che fosse alla ricerca di qualcosa. Per qualche mese si illuse che quel qualcosa fosse Luca.
Si incontrarono per caso, in una strada che portava il nome di un vecchio compositore e si presero subito la mano. In realtà fu Silvia ad allungare il braccio verso di lui, che non esitò ad intrecciare le dita fra le sue, come non faceva dai tempi della scuola. Luca in quel tempo camminava su un filo. Da qualche mese l’agenzia non andava più molto bene, si era invischiato in robe losche, serate all’insegna del vizio e della droga e le cose non erano andate come sperava. Una sera la polizia aveva fatto irruzione in uno dei locali in cui lui stava lavorando e per poco non finì in carcere. Riuscì a salvarsi il culo solo grazie ad amico comune che fece qualche chiamata in prefettura per “appianare” la questione. Ma da quella sera gli affari gli stavano andando malissimo, era sull’orlo della bancarotta ed aveva bisogno di trovare un motivo per reagire. Silvia lo fu. Fin dai loro primi incontri le sensazioni che diede a Luca furono talmente intense e forti che lo fecero reagire. Decise di chiudere l’agenzia e smettere di sperperare soldi in giro. Non gli venne in mente di diventare un bravo ragazzo, ma quanto meno provò ad indossare, per un attimo, i panni di un uomo ragionevole e provò di dedicarsi ad altro. E infatti si dedicò a Silvia, giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro. Dopo sei mesi di frequentazione lei non ne poté più. La loro non era una storia fra due ragazzi innamorati, ma era una gabbia in cui lei era la reclusa e lui il carceriere. Luca e il suo grande ego dovevano averla sotto controllo ogni momento. Lui non poteva accettare che lei passasse tempo con altri uomini, quando aveva il meglio sulla piazza. Il fatto che Silvia sentisse il bisogno di frequentare amici, aveva solo un significato per lui, tradimento. E nessuno avrebbe potuto tradire Luca, nessuno se non lui stesso.
E una mattina con ancora in bocca il sapore di marmellata, Silvia prese la porta e se ne andò. Lasciò Bologna, la radio e un mazzo di fiori gialli nel vaso al centro del tavolo della cucina. Non ci fu un addio, non una parola, ma solo un biglietto senza soggetto né firma. La frase diceva così: “Lo so che ti buchi ancora”
Luca se ne stava appoggiato ad un albero con la testa inclinata di lato. La maglia del Bologna che indossava, gli stava grande di almeno due taglie. Sulla schiena aveva stampato il numero 10 quasi a ricordare il fuoriclasse che era stato. Ora di quel passato non restava più nulla. Solo il ricordo sfocato di un viso e un costante dolore nel petto. Luca stava male e non per colpa di un dio cattivo o noioso, ma solo per colpa sua. Sapeva che l’eroina l’avrebbe distrutto prima o poi, ma preferiva così, piuttosto che guardare allo specchio quello era diventato. Riusciva a non farsi schifo solo nei suoi deliri. E allora, sotto quell’albero con la testa chinata di lato, chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Un dribbling a destra, uno a sinistra e poi un altro ancora. Era solo davanti al portiere. Luca alzò lo sguardo per puntare l’incrocio dei pali. La maglia del Bologna che stava indossando era della sua taglia. Era sicuro di sé e pronto per calciare. Dopo essersi assestato sulle gambe, diede uno sguardo verso il basso. Quella che aveva tra i piedi non era una palla, ma la testa di un uomo. Aveva capelli bruni, occhi neri, un naso pronunciato e una bocca dalle labbra sottili. Era lui. Luca era in piedi e le sua testa era a terra. Dagli spalti qualcuno gli disse di calciare. Il portiere davanti a lui aveva braccia di gomma che gli ciondolavano sui fianchi. Al posto dei guantoni due tenaglie, come quelle di un granchio gigante che avrebbero sicuramente reso ardua quella parata. Luca avrebbe dovuto calciare, ma aveva paura di farsi male. Guardò il suo viso, dal colore pallido, in contrasto col verde del campo e lo vide sorridere.
  • “Dai” Gli disse. “Fallo! Spaccami il naso”
Luca avrebbe voluto accettare quella provocazione, se non fosse stato il suo, il naso in questione. Dagli spalti, intanto, si levò un secondo urlo, ma stavolta di avvertimento. Dietro alle sue spalle un giocatore si stava avvicinando. Luca, senza girarsi, ne percepì la corsa. Svelta, ma leggera. In pochi secondi i due si trovarono fianco a fianco. Un odore di mora gli pizzicò il naso e quando Luca si girò un volto sfocato lo stava guardando. Chi era? Luca non riusciva a dare un nome a quell’avversario che sembrava non avere alcuna intenzione di rubargli la palla, anzi la faccia. I due restano immobili uno a fianco all’altra mentre un boato si stava alzando dalla curva nord. L’arbitro fece un fischio severo dal centro del campo. Il gioco doveva ripartire. Era ora di prendere una decisione. Il volto sfocato emise un sussurro:
  • “Questa è la palla che ci può salvare. Tirala, adesso!”
Luca ebbe paura. Si toccò il viso con la mano, ma al posto della testa aveva un pallone. Inspirò nei polmoni tutta l’aria che poté e i suoi piedi in un attimo non toccarono più terra. Stava volando, allontanandosi dal campo e dal suo avversario. Il portiere, vedendolo fluttuare nell’aria, gli cinse la vita con il suo braccio di gomma e la stretta gli tolse il respiro. Voleva liberarsi da quella morsa e allungò un braccio verso il basso. Il suo avversario aveva le mani occupate da un mazzo di girasoli colti chissà dove. Luca si immaginò bambino, quando giocava nel cortile della scuola, Dire Fare Baciare Lettera o Testamento. Si maledì per non aver messo nero su bianco le sue volontà.
Sapeva, infatti, che sarebbe morto di lì a breve, senza avere la possibilità di calciare quell’ultimo pallone, ma nonostante questo non si diede per vinto. Usò il braccio destro per liberarsi, gli faceva male, già, si era appena bucato. Decise di non pensare al dolore e con un gesto veloce si divincolò cadendo col culo per terra. Anche il suo avversario adesso era seduto. Aveva una piccola radio davanti a sé e con la manopola stava cercando di sintonizzarsi sulla giusta stazione. Il fruscio che fuoriusciva dalle casse costrinse Luca a coprirsi le orecchie, dimenticandosi di avere un pallone al posto della testa.
Una voce roca riempì lo stadio e dagli spalti si levò un coro all’unisono. Tutti sembravano conoscere quella canzone. Luca, d’improvviso, si sentì chiamare da mille voci, senza riconoscerne nessuna.
Totalmente spaesato decise di guardarsi attorno, alla spasmodica ricerca di un volto amico. E fu lì che la vide, a due passi da lui, seduta e terra, con una radio tra le mani. C’era Silvia in quel campo, con un viso dolce dall’aria interrogativa.
  • “Ti buchi ancora?” gli chiese cantando.
Lui scosse la testa, ma la sua più che una risposta era solo una vana speranza. La siringa gli penzolava ancora dal braccio destro. Aveva imparato a bucarsi con entrambe le mani e per un attimo, per questo, si era sentito un dio. Ora in quel campo, davanti alla sola donna che avesse mai amato, quello che sentiva era solo un senso di vuoto devastante. Nessuno ormai avrebbe potuto più salvarlo.
Silvia si chinò a terra, prese la faccia di Luca tra le mani e gli diede un bacio sulla bocca. L’odore di mora si fece più persistente e l’arbitro, con un tre fischi secchi e decisi, decretò la fine della partita.

Luca se ne stava appoggiato ad un albero con la testa inclinata di lato. La maglia del Bologna che indossava, gli stava grande di almeno due taglie. Nelle ultime settimane era dimagrito parecchi chili. L’appetito lo aveva quasi del tutto abbandonato, lasciando spazio ad una voglia irrefrenabile di evasione. E lì, sotto l’ombra di quell’albero secolare di uno dei giardini più belli della città, si stava godendo uno di quei momenti. Prima di lasciarsi andare al suo ennesimo delirio, decise di togliersi la maglia, che ultimamente indossava sette giorni su sette. La vista di quel petto scheletrico dai pochi peli ispidi non fece altro che risaltare la magrezza di quel ragazzo. Dal petto si poteva quasi vedere il movimento del battito del cuore tra le costole. Era un palpitare debole, stanco.

Luca ora ha solo voglia di dormire, ma deve attendere ancora un attimo. Il rumore di vetri spaccati lo distrae. Un bambino ha appena rotto una finestra tirando il calcio ad un pallone. Gli amici accanto a lui sono seduti in cerchio e stanno giocando. Dire Fare Baciare Lettera o Testamento. Questa filastrocca lo culla dentro ad un sonno profondo e senza fine. Luca avrebbe voluto fare tante cose nella vita, dire Ti amo, baciare sua nonna, scrivere una lettera al suo migliore amico. Non aveva fatto nulla di tutto quello e si maledì, ancora una volta, per non aver messo nero su bianco le sue volontà.


















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