Racconta Estero 2017

Per chi ama scrivere ci sono tanti concorsi a cui partecipare. Racconta Estero 2017 era uno dei tanti, dedicato a chi, da un viaggio, porta a casa emozioni, insegnamenti, pezzetti di vita....

Se vi va di leggere i racconti premiati potete accedere al link e magari trovare spunti per la vostra prossima vacanza. In un giorno uggioso come oggi, almeno qui a Bologna, evadare con la mente potrebbe essere terapeutico. 

http://www.centroculturapordenone.it/irse/concorsi/raccontaestero-2017_IlBando/una-ricarica-di-fiducia

Anche io avevo partecipato, ma essendo "anziana" sono stata esclusa , ma pubblico qui il mio racconto per condividerlo



CHECKMATE – PAOLA SENSI
When we arrive in Malpensa, the hot narrows our throat and reminds us that we have finished water. With a fast steps we head to the departures. It is me, my husband and my son. With us, three hand luggage of less than seven kilos each one. Leaving with such small bags makes us feel adventurous. Confident, we embark on a jumbo that holds more than 800 seats. My son asks me if, inside, there is a square where to ride a bike. I laugh, without answering. In flight we have a personalized menu. For me gluten free and for my son vegetarian one. The hostess chooses on my husband's behalf, he is confuse because of  high pressure. After 8 hours of flight we land at JFK. It's 7 pm, now local, for us 1 am . Adrenaline beats tiredness. After an hour of sports driving, the Hispanic driver tells us that we arrived. Bridge Street, Brooklyn, New York City. Our apartment is on the 17th floor. The doorman greets my son with a "Hi man" that makes him feel at home. This will be our home for the next seven days. When we find out we have a terrace we would like to keep it forever.
The week runs fast, like everyone in New York. On the street, in the parks all run. They, often, do it in couple, telling what secrets. We walk. And walking on the Fifth to the Flatiron  we find that we are not feeling anything except the sense to have already  been everywhere. Damn TV! Our son, with the nose up, looks every corner expecting  to see Spiderman come out of a palace. But nothing. No super hero in Central Park, or in the psychedelic Time Square. No sea monsters on the Staten Island boat ride, no gorilla hanging on the Statue of Liberty. No trace of Carrie Bradshaw in the West Village or Sean Penn on one of the many roofs where they serve extra size cocktails. So, in the hope of being hit by a wind of emotions, we take a train and arrive at Coney Island. Without passports to cross borders or ropes to overcome walls, in 40 minutes we are in "Mexico". The great beach, the people's cheerfulness, the moon park lights, and the decaying of neighborhoods make us think of neighborhoods of a Latin country. We order a pizza. We are confused and  melancholy. The journey is not giving us the expected sensations. Why does everything look so damn normal?
Then Ground Zero. The water sinking into a black hole. A roar bleeds the ears. The names, all those names, engraved on the iron. The heart stops. In the sky, a man's silhouette is falling slowly. It's 11th of September 2001. We put our hands in front of the eyes. The smell of burnt meat gives us vomit. Spent, we look for the underground, using the Empire State Building as a compass. At the corner an old man and a child are challenging eachother to an old game. Two generations that coexist, white and black in a hopefull mix. New York makes its move. It’s checkmate.





SCACCO MATTO - PAOLA SENSI
Arrivati a Malpensa l’afa stringe la gola e ci fa ricordare di aver  finito l’acqua. Con passo veloce ci dirigiamo alle partenze. Siamo io, mio marito e mio figlio. Con noi tre bagagli a mano di meno di sette chili l’uno. Partire con valige così piccole ci fa sentire avventurosi. Spavaldi, ci imbarchiamo su un jumbo che contiene più di 800 posti. Mio figlio mi chiede se dentro c’è una piazza dove andare in bicicletta. Rido, senza sbilanciarmi. In volo ci servono un menù personalizzato. Per me gluten free  e per mio figlio vegetariano. Mio marito fa scegliere all’hostess, l’alta pressione lo confonde. Dopo 8 ore di volo atterriamo a JFK. Sono le 7 di sera, ora locale, per noi l’una di notte. L’adrenalina abbatte la stanchezza. Dopo un’ora di guida sportiva il tassista ispanico ci dice che siamo arrivati. Bridge Street, Brooklyn , New York City. Il nostro appartamento si trova al 17esimo piano. Il portiere saluta mio figlio con un “Hi man” che lo fa sentire a casa. Questa sarà la nostra casa per i prossimi sette giorni. Quando scopriamo di avere un terrazzo vorremmo che lo fosse per sempre.
La settimana corre veloce, come tutti a New York. Per strada, nei parchi tutti corrono. Lo fanno, spesso, in coppia raccontandosi chissà quali segreti. Noi camminiamo. Ed è camminando sulla Quinta verso il Flatiron che ci accorgiamo di non provare niente se non la sensazione di essere già stati dappertutto. Maledetta TV! Nostro figlio con il naso all’insù scruta ogni angolo,  si aspetta di vedere Spiderman lanciarsi da un palazzo. Ma nulla. Nessun super eroe a Central Park, né nella psichedelica Time Square. Niente mostri marini durante il giro in battello a Staten Island, né gorilla appesi alla Statua della Libertà. Nessuna traccia di Carrie Bradshaw nel West Village o di Sean Penn in su uno dei tanti roof dove servono cocktail extra size. Così, nella speranza di essere travolti da un vento di emozioni, prendiamo un treno e arriviamo a Coney Island. Senza bisogno di passaporto per superare frontiere, né di corde per scavalcare muri, in 40 minuti siamo  in “ Messico”. La grande spiaggia, l’allegria della gente, le luci del luna park e la decadenza dei quartieri fanno pensare alla periferia di un paese latino. Ordiniamo una pizza. Siamo confusi e un po’ malinconici. Il viaggio non ci sta dando le sensazioni attese. Perché sembra tutto così  dannatamente normale?
Poi Ground Zero. L’acqua che sprofonda in un buco nero. Un boato che fa sanguinare le orecchie.  I nomi, tutti quei nomi, incisi sul ferro. Il cuore si ferma. In cielo la sagoma di un uomo sta precipitando al rallentatore. E’ l’11 settembre del 2001. Ci mettiamo le mani davanti gli occhi. L’odore di carne bruciata ci dà il voltastomaco. In frantumi, cerchiamo la metro, usando l’Empire State Building come bussola. All’angolo un vecchio e un bambino si stanno sfidando a un gioco passato. Due generazioni che coesistono, il bianco e il nero che si mescolano. New York fa la sua mossa ed è subito scatto matto.



 

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